Eder Baù con la maglia della Triestina. Foto da https://www.tuttocampo.it/

Eder Baù, dall’Altopiano di Asiago a San Siro (e ritorno)

È il 25° del primo tempo della finale del Torneo di Viareggio tra il Milan e i brasiliani dell’Esporte Clube Vitória. I rossoneri, guidati in panchina da Mauro Tassotti, sono superiori ma non riescono a passare; l’occasione giusta sembra arrivare quando un tiro di Paolo Sammarco viene respinto con un braccio da un difensore brasiliano, proprio sulla linea di porta. Rigore incontestabile. Sul dischetto va una delle punte milaniste: il rapido Eder Baù.

Non si tratta di una giovane promessa brasiliana. Nonostante il nome di battesimo, vagamente portogheseggiante, il ragazzo è italiano e il cognome è tra i più diffusi della sua zona di provenienza: l’altopiano dei Sette Comuni, conosciuto ai più come Altopiano di Asiago. Siamo nelle Prealpi Vicentine. Zona di alture, di pascoli e formaggio, di ghiaccio e di neve. Di sci e hockey anche, ma non di calcio, almeno ad alti livelli. Eppure, dal più conosciuto dei comuni dell’Altopiano, Asiago appunto, è partita la storia di questo Baù. Dai calci tra i monti al Bassano il passo è naturale, il talento accorcia ogni percorso anche quello più tortuoso che lo conduce a Milanello. Alla primavera del Milan e al minuto 53 di Milan-Dinamo Kiev quando Baù dà il cambio a Leonardo, sotto i riflettori di San Siro. È la sera del 22 febbraio 2000 e dell’amichevole tra il Milan di Zaccheroni e la Dinamo Kiev del colonello Lobanovs’kyj. Quasi un anno primo di questo pomeriggio del 26 febbraio 2001, di un tiro dagli 11 metri che per l’attaccante significa un altro piolo nella scalata al professionismo. L’arbitro fischia, Baù prende la rincorsa e tira ma il pallone non va dove deve andare: esce fuori dallo spazio delimitato dai pali. È il mondo che crolla. Dall’euforia del gol allo scoramento è una questione di attimi, e, anche se nulla è perduto, per l’attaccante è una doccia gelida. Da quel momento Baù sembra scomparire dal campo, stordito, tuttavia i compagni di squadra riescono a cancellare il suo errore. Il Milan si impone per 3-1 alzando al cielo la sua ottava Coppa Carnevale. Nei giorni successivi, tornando su quel trionfo, Tassotti si soffermerà sui suoi ragazzi e proprio su Baù dirà: “È tenace. Non deve essere triste per quel rigore sbagliato: ha giocato con una spalla dolorante. E tanti nostri gol sono stati innescati dalle sue giocate”. Quasi a far l’esegesi del celebre “non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore” de “La leva calcistica della classe ’68” di Francesco De Gregori. Parole di circostanza forse, ma mai così profetiche. Baù, infatti, pur non diventando mai un giocatore del Milan, nella sua lunga carriera si è contraddistinto per la sua tenacia, per la sua voglia di non lasciare mai nulla sul campo.

Non ha raggiunto la Serie A ma dimostrato di saper segnare in C e in B con maglie “pesanti” come quella della Triestina e del Padova o di saper reggere la pressione di piazze esigenti come La Spezia o Pescara. Una lunga carriera che prosegue ancora nel segno di quella tenacia elogiata da Tassotti. Baù, infatti, nonostante i trentotto anni, continua a giocare: dal 2014 lo fa tra le sue montagne, prima indossando la maglia del Stoccareddo (frazione di Gallio) e poi quella del Lusiana Conco, in Seconda Categoria. Al momento dello stop del campionato a causa del COVID-19, Baù è andato a segno 10 volte perché, oltre alla tenacia, lui ha anche dei piedi più che educati.

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