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Andrea Caracciolo, l’airone che volava nei cieli di Brescia

Andrea Caracciolo, il mito vivente del Brescia

Ci sono cose che sembrano esistere da sempre, certezze che ti scorrono sotto gli occhi tutti i giorni senza farsi notare ma facendosi avvertire in maniera distinta. Dati per scontato che albergano in qualche angolo della tua mente, lì, nel cassetto dedicato ai punti fermi.

Questi elementi esistono nella vita, sia nella sfera materiale sia in quella sentimentale; esistono nello sport, esistono nel calcio. Sono quei fattori che permettono di sviluppare un amore profondo, un legame quasi religioso con uno sport che fa dell’inutile rotolare di una sfera di cuoio il suo senso di esistere. Uno di questi dati per scontato, una di queste certezze è Andrea Caracciolo: un fromboliere di un metro e novanta posizionato al centro dell’attacco, con il mirino sempre puntato sulla porta avversaria e il cuore orientato verso chi sta in piedi fuori dal rettangolo verde, sugli spalti. Andrea Caracciolo, un punto fermo del calcio che trascorre la sua esistenza in provincia, un ragazzo che ha tatuato sulla pelle una maglia azzurra con un V bianca all’altezza del petto. Quella del Brescia. È difficile raccontare la sua storia tralasciando il biancoazzurro delle Rondinelle, è impossibile comprendere dove inizia un encomiabile sportivo professionista e dove il giocatore del Brescia più prolifico di tutti i tempi.

Eppure se si guarda alla lunga carriera di Caracciolo, di colori e di avventure ce ne sono state altre, anche memorabili seppur senza aver il fascino della liaison bresciana. Un legame che si è cementato di più dopo ogni addio per diventare insolubile. Non è facile parlare di Caracciolo senza tralasciare la storia recente del Brescia, senza ripercorre il carosello di gol, la danza di immagini che si chiudevano sempre con quel modo di esultare a braccia aperte, a simulare l’apertura alare dell’airone.

Un racconto iniziato nell’estate del 2001 quando il Brescia di Luigi Corioni decide di mettere sotto contratto un giovane di belle speranze, un diciannovenne di Milano che si era messo in mostra un paio di stagioni prima con il Sancolombano in serie D. Fisico da cestista più che da boa d’attacco, dotato di buona tecnica, agile e rapido, nonostante i centimetri. È acerbo, certo, ma si farà. Ne è convinta la dirigenza delle Rondinelle, ne è certo Carletto Mazzone, uno che ai giovani ha sempre dato credito e possibilità. E una di queste gliela concede già il 6 gennaio del 2002, il Brescia è impegnato al Dall’Ara di Bologna: i lombardi sono sotto due a zero quando al 24° della ripresa il tecnico romano richiama in panchina Igli Tare e indica al giovane numero 29 di andare a sistemarsi in attacco vicino a Luca Toni per rivitalizzare il reparto. Il resto lo avrebbero fatto i centimetri e l’entusiasmo di un ventenne al debutto in Massima Serie. E per poco l’azzardo di Mazzone non va a buon fine: una parata di Pagliuca nega il gol a Caracciolo e il Brescia perde la partita – inutile il gol nel finale di Toni. Ma la gioia della prima rete in A è lontana solo qualche mese; sarà doppia, come capita ai predestinati, sarà davanti a quel pubblico che negli anni lo eleggerà a sua bandiera.

Succede tutto il 3 marzo. Il Brescia si gioca un pezzo importante di Serie A contro il Piacenza: Caracciolo parte dal primo minuto, è lui la spalla di Luca Toni, come all’esordio a Bologna. Stavolta però non c’è Pagliuca nel ruolo di guastafeste, i gol sono buoni e pesano come macigni, valgono un punto prezioso. Il primo è una zampata che intercetta un pallone sporco che carambola nell’area piacentina, il secondo è un colpo di testa, uno di quelli che diventeranno marchio di fabbrica di Caracciolo. Federico Giunti dalla mediana calcia un pallone a cercare la testa di Toni, ma la palla è troppo lunga, vola sopra la testa del 9 bresciano, rimbalza a terra prima di incontrare la fronte di Caracciolo che insacca alle spalle del portiere piacentino Guardalben. È la rete che pareggia il vantaggio di Hubner e regala un punto alle Rondinelle; per il numero 29 è festa grande, per il Brescia la convinzione di aver trovato un talento. Ma a fine partita ci pensano i modi schietti di Mazzone a fare da pompiere: «Lo sapete come sono i giovani, poi si montano la testa. Diciamo che ha fatto il suo dovere, ecco».

La prima stagione di Caracciolo in Serie A, a livello realizzativo, si ferma qui: rimane il tempo di qualche altra presenza in campo e di attirare le attenzioni del Perugia che se lo assicura in prestito per il campionato successivo. Sarà un’occasione per crescere ancora. In Umbria però le cose non vanno particolarmente bene, l’attaccante non riesce a superare le due reti della stagione precedente nonostante scenda in campo ventidue volte. Tuttavia, proprio dopo un gol, un giornalista affibbia a Caracciolo il soprannome di airone, il prologo di quello che sarebbe diventato il suo iconico modo di esultare. Il prestito in terra umbra finisce e Andrea è di nuovo a Brescia. Non c’è più Mazzone, non ci sono più Toni e Tare, ma là davanti c’è un certo Roberto Baggio. È la stagione della svolta: anche imbeccato dalle deliziose intuizioni del Divin Codino, Caracciolo centra il bersaglio grosso ben 12 volte, andando in doppia cifra per la prima volta in carriera e diventando insieme al fantasista di Caldogno il capocannoniere della squadra. In questa stagione riprende il discorso interrotto con quel soprannome, airone, che da nomignolo si fa gesto, diventa autografo identificativo di ogni rete realizzata. Pallone in fondo al sacco ed esultanza a braccia aperte come un airone in volo. Un rito che ha colpito anche il commissario tecnico della Nazionale, Marcello Lippi, che lo convoca per la gara amichevole con la Finlandia. Per l’attaccante saranno poco più di venticinque minuti, subentrato per dare il cambio all’ex compagno di squadra Luca Toni, quello da cui doveva imparare nel Brescia di Mazzone, quello con cui aveva diviso il fronte d’attacco nella partita d’esordio in A. Quel Toni che gli insegnò molto, lui ragazzo che aveva iniziato a dare calci al pallone dalla difesa prima di scoprirsi punta alla soglia dei diciotto anni grazie all’intuizione di un ribelle di natura Paolo Sollier, all’epoca allenatore del Sancolombano.

Nella stagione successiva saranno ancora dodici i “voli” del numero 29, senza la classe di Baggio, in un calvario conclusosi drammaticamente al Franchi, all’ultimo turno, nel match spareggio con la Fiorentina. Tre a zero per i Viola che si salvano proprio ai danni del Brescia, seguito in toscana da 5.000 irriducibili tifosi. Per la piazza è una tragedia calcistica, la fine di una rincorsa disperata; per Caracciolo la prima grossa delusione: l’antecamera del primo vero addio. In estate l’attaccante di Milano passa al Palermo dove trova una squadra attrezzata ma soprattutto viene chiamato a sostituire Luca Toni, passato alla stessa Fiorentina che pochi mesi prima aveva mandato all’inferno il suo Brescia. Siamo al terzo incrocio nelle storie dei due bomber che fino a quel momento sembrano legati a doppio filo, pronti a dar vita a una di quelle “rivalità” che spaccano l’opinione pubblica. Per intanto però la porta girevole dà la possibilità a Caracciolo di fare un salto di qualità: sono gli anni in cui i siciliani sono presenza fissa in Coppa Uefa, un palcoscenico che non può non fare gola. Eppure, forse per l’eccessiva pressione, forse per il fantasma ingombrante del cannoniere di Pavullo nel Frignano, la capacità realizzativa di Caracciolo sembra entrare in crisi. Nella prima stagione le reti in campionato sono 9 contro i 20 di Toni l’anno precedente e il primo gol europeo contro l’Anorthosis non evita un confronto impietoso che toglie all’attaccante ogni possibilità di rientrare nel giro azzurro nell’anno del Mondiale. La stagione seguente, il 10 sulle spalle sostituisce il fido 29, ma i gol diminuiscono ancora. Sono solo cinque in campionato e uno in Coppa Uefa ma quest’ultimo è uno di quei gol che non dimentichi per il resto della vita. È il primo turno della competizione, i rosanero di Francesco Guidolin devono vedersela con i londinesi del West Ham che tra le loro fila annoverano due campioncini che rispondono al nome di Carlos Tevez e Javier Mascherano. L’atmosfera è calda, gli inglesi stampando magliette con su scritto Hammers VS Mafiosi contribuiscono ad alzare il gradiente della contesa; tuttavia contrariamente a quanto pronosticato il Palermo tiene bene il campo e alla fine del primo tempo trova il punto del vantaggio. Diana mette in mezzo un pallone rasoterra che elude l’intervento di Ferdinand e trova il tocco di Caracciolo che lo insacca alle spalle di Carrol. Gli oltre ventimila del Boylen Ground sono impietriti. L’Airone ha aperto le ali, il Palermo, che si imporrà anche al ritorno con perentorio 3-0, esce vincitore dalla contesa.

Tuttavia la prodezza inglese è buona sola per la storia, a fine stagione Caracciolo lascia la Sicilia e si accasa a Genova, sponda Samp. Iniziano quattro mesi di calvario: poco presenze e gol ancora meno. Ora è ufficiale: l’Airone non sa più volare. Ma è a questo punto del racconto che torna in scena il Brescia: la dirigenza delle Rondinelle non si è dimenticata delle sue giocate e per questo punta decisa sul ritorno del centravanti per cercare di riacciuffare la Serie A. Per l’Airone è un atto d’amore più grande di una discesa di categoria, di un no al prestigioso Glasgow Rangers: un sì per riprendere la storia da dove si era interrotta. E come nelle migliori favole, tutto riprende da capo, il principe ritrova la sua principessa e tutto riparte. Tornano i gol, tanti e quasi sempre decisivi: 8 in 17 partite nella prima mezza stagione, 17 nella seconda e 25 nella terza che si conclude con la promozione in A dei lombardi dopo aver giocato i play-off per il terzo anno consecutivo. Una maledizione che viene spezzata, e qui ritorna l’aspetto magico di questa storia, proprio da Andrea Caracciolo. Il 13 giugno 2010 al Rigamonti arriva il Torino, davanti al suo pubblico l’Airone apre le ali di nuovo dopo aver realizzato il rigore del due a zero che rende inutile la rete finale del granata Arma. Le Rondinelle riabbracciano la Massima Serie dopo un purgatorio lungo 5 campionati, un’impresa che porta il marchio del centravanti milanese, il “figliol prodigo” attorno al quale ora si stringe una città intera.

Ma nella storia tra Caracciolo e il Brescia c’è spazio per un altro addio. Dopo una stagione in Serie A, ancora in doppia cifra, ancora macchiata dall’epilogo amaro di una nuova retrocessione, l’Airone all’ultimo giorno di mercato estivo trova l’accordo con il Genoa di Preziosi. L’attaccante sceglie la maglia numero 99 e va a occupare la casella lasciata libera da Luca Toni. Ancora lui, un’altra volta: un incrocio di destini che questa volta sembra sorridere a Caracciolo. Toni, infatti, era stato scaricato qualche mese prima, nella sessione di mercato invernale, a causa delle sue prestazioni incolori e delle sole 3 reti in campionato. Fare meglio per Caracciolo dovrebbe essere una formalità e invece le cose vanno ancora peggio: l’Airone scende in campo soltanto 12 volte mettendo a segno un solo gol, seppur prestigioso, nel 2-2 contro la Juve a Torino. A gennaio Andrea viene ceduto in prestito al Novara, fanalino di coda della serie A e già con un piede in B. La squadra piemontese, allestita in maniera approssimativa durante l’estate, è alla ricerca di qualche colpo a effetto che possa invertire la rotta, rimettere in sesto una stagione nata storta. La magia non riesce all’Airone che non riesce a dare la sferzata che tutti si aspettano. I gol sono solo due, per il Novara è retrocessione senza appello, per Caracciolo il punto più buio della carriera. La maledizione delle Rondinelle, che colpisce l’attaccante quando non indossa la maglia biancoazzura, continua. Stavolta però è più dura del solito: a 31 anni, dopo una stagione tribolata le sue quotazioni sono tremendamente in ribasso.

Andrea Caracciolo con la “sua” numero 9.
Photo by www.gazzetta.it

Sembra tutto perduto, ma l’anatema d’incanto si rompe, anche stavolta, e ancora grazie al Brescia che diventa nuovamente proprietario del cartellino di Caracciolo e punta su di lui per centrare la promozione in A. Il ritorno è da incorniciare: l’Airone torna a fare quello per cui è stato chiamato, segnare. I gol arrivano a grappoli, arriva la centesima rete con le Rondinelle che con lui in attacco volano alte; l’obiettivo della stagione però sfugge nella semifinale play-off contro il Livorno. Ci sarà modo per rifarsi, sarà solo una questione di tempo, pensano in molti. Tuttavia, le vicissitudini societarie, che rischiano di far sparire il Brescia e portano all’abbandono forzato dello storico presidente Luigi Corioni, impediscono alle Rondinelle non solo di riabbracciare la Serie A ma le vedono retrocedere sul campo nella stagione 2014-15. Solo il ripescaggio a fine campionato le salva dalle sabbie mobili della C. Anni grigi che durano tutt’ora e che vedono la squadra veleggiare nei bassifondi della categoria, destinata a un limbo che sembra non dover finire più. Uno scenario di acque torbide, dove tra le poche luci a rischiararle c’è quella sempre accesa dell’Airone: il centravanti che ha segnato più gol di tutti con la maglia del Brescia: 165. Il giocatore che riesce a esprimere tutte le sue potenzialità quando indossa la maglia azzurra con la V bianca sul petto, l’uomo che è diventato emblema sportivo della città. Ecco perché nel capoluogo lombardo, oltre al Foro Romano, al monastero di Santa Giulia, al monumento a Garibaldi con ai piedi la Leonessa simbolo cittadino, dovrebbe esserci da qualche parte nella zona del Rigamonti una statua con un ragazzo di un metro e novanta con le braccia distese nel gesto del volo dell’airone.
Soprattutto oggi che il presente di Caracciolo è lontano da Brescia, da quei colori con i quali ha espresso davvero il meglio di sè, da quella maglia con la “V” bianca che non indossa più.

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