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Rodolfo Giorgetti e l’impresa di essere amato sia a Bari sia a Lecce

Giorgetti, il guerriero che si è preso Bari e Lecce

Rodolfo, detto “Dodo”, Giorgetti era uno di quei giocatori che in campo non vedevi ma di cui avvertivi l’assenza quando non erano costretti a stare fuori. È stato un centrocampista destro che, grazie alla tempra di chi non lascia nemmeno un centimetro agli avversari, è riuscito a costruirsi un’ottima carriera, arrivando a giocare quasi cento partite in A, riuscendo nell’impresa di farsi ben volere sia a Bari sia a Lecce. Qualche giorno fa l’abbiamo raggiunto telefonicamente e abbiamo fatto una bella chiacchiera parlando di compagni di squadra indimenticabili, gol inaspettati ed esordi problematici.

Ciao Rodolfo, innanzitutto partiamo dal presente, cosa fai oggi e che progetti hai per il futuro?

L’ultima mia esperienza è stata come vice di Lamberto Zauli a Teramo, ormai 3 anni fa. Fu un’esperienza negativa dopo la quale ho abbandonato il mondo del calcio dedicandomi alla mia attività, un negozio di illuminazione a Senigallia dove vivo.

Hai disputato 89 partite in Serie A, segnando 3 reti e ti si ricorda soprattutto con le maglie di Bari e Lecce.

Sì, sì, ne parlavo qualche giorno fa in un’intervista dove mi si faceva notare che sono stato tra i pochi giocatori a essere amato sia a Bari sia a Lecce. Secondo me i tifosi, con i difetti che possono avere, come il loro vivere di emozioni che li spingono ad arrivare anche a giudizi istintivi e affrettati, riescono a riconoscere quando un giocatore da tutto per una maglia e io penso di averlo fatto.

Anche se quando sei arrivato a Bari hai avuto qualche difficoltà ad ambientarti.

Arrivai al Bari dopo una retrocessione, i tifosi erano molto rammaricati e delusi. Nel loro immaginario io andavo a sostituire Carmine Gautieri ma avevo caratteristiche completamente diverse, lui era più offensivo, io invece un giocatore più di contenimento. Lì per lì la gente mi criticò molto: il pubblico contestava me e Fascetti che mi faceva scendere in campo. Ma non mollai…

Fino a quando arrivò una partita particolare, quella contro la Salernitana.

Proprio così, contro la Salernitana (stagione 1996-1997 n.d.r.) segnai un gol al novantesimo dando la vittoria al Bari che da quel momento non si fermò più e agguantò la promozione in A. Fu un gol fortunoso, sporco se vogliamo, non bello ma importantissimo. 

Insomma da contestati, tu e Fascetti, nell’arco di qualche settimana, siete diventati salvatori della Patria. E dopo la promozione arrivarono anche tre salvezze in A.

Negli ultimi anni – diciamo da quattro anni a questa parte –  ho notato che i tifosi hanno iniziato ad apprezzare quel che abbiamo fatto in quel periodo che è stato il quadriennio migliore della storia recente del Bari. Conquistare tre salvezze consecutive in quella Serie A è stata davvero un’impresa.

Giorgetti con il Bari in A nella stagione 1997-1998.

A Bari hai visto il genio di Cassano ma hai potuto apprezzare ottimi giocatori come Zambrotta o prospetti come Di Vaio e Flachi; a Lecce Vucinic, Bojinov o Chevanton. Qual è il giocatore più forte con cui hai giocato? E il talento più grande mai esploso?

Ho giocato con tanti ragazzi di qualità a Bari per esempio c’era Ingesson o il tedesco Doll (Lazio e nazionale tedesca Est e unificata n.d.r.), uno che aveva giocato a livelli molto alti, ma anche i più giovani Sala e De Ascentis. Cassano probabilmente fu il più talentuoso, ma Cimirotic, che incontrai a Lecce, aveva delle qualità eccezionali. La sfortuna non gli permise di affermarsi come meritava.

Spiegaci meglio.

Aveva delle qualità tecniche straordinarie, possiamo veramente parlare di un altro Cassano, purtroppo però non si allenava quasi mai per i continui problemi ai tendini. Basta ricordare cosa fece in una partita con la sua nazionale (la Slovenia n.d.r.) contro l’Italia e la giocata che diede il gol vittoria alla sua squadra e fece impazzire la difesa Azzurra.

Ma nella tua carriera non c’è stato solo Bari e Lecce anche Ravenna. Nel 1995-1996 hai vinto la C1 e nella tua squadra c’erano talenti come Zauli, Schwoch e Buonocore, un altro che in provincia è stato una sorta di idolo.

Enrico era un fuoriclasse e aveva anche la tenuta mentale giusta, aveva un talento straordinario. A vederlo da fuori sembrava volesse scimmiottare Maradona, ma non era assolutamente così. Il suo modo di stare in campo era proprio uguale a Maradona. Ti dico un aneddoto che raccontava lui. Da ragazzo giocava alle giovanili del Napoli, un giorno, dopo averlo visto in campo, Maradona gli disse “Io sono uguale a te”. Enrico gli rispose “Come sei uguale a me?” e Maradona “ Sì, perché tu sei italiano e qui in Italia da prima di me, quindi sono io che ti somiglio”. Insomma questo era Buonocore, senza problemi fisici avrebbe raccolto di più.

In A hai segnato tre gol tra cui un gol alla Juventus, quali sono le emozioni che ancora porti con te?

Il ricordo più bello però è legato al mio primo gol in serie A (stagione 1997-98 n.d.r). Arrivò dopo un brutto infortunio che mi tenne fermo per sei mesi. In quella stagione Beppe Signori per ogni gol che segnava esibiva una maglietta con il numero del gol e la scritta “Che spettacolo”.  Io facevo riabilitazione a Bologna, in una centro sportivo che ospitava anche Casiraghi, con lui decidemmo che se mai avessi segnato in A avrei potuto indossare una maglietta simile anche io. Dopo un paio di mesi tornai in campo, le prima partite non feci nulla. Prima della terza partita però mi svegliai: andai da De Ascentis e gli dissi “fammi la maglietta 1… che spettacolo”. Scesi in campo regolarmente quella partita – si trattava di Bari-Piacenza -, a un certo punto l’arbitro fischiò un rigore per noi. Sul dischetto si presentò Ingesson, rigorista designato. Nel momento in cui Klas prese il pallone per andare sul dischetto, io mi avvicinai per battergli il cinque ma lui capì che volessi tirare io il rigore e mi diede la palla. Mi trovai questa palla in mano sotto la curva del Bari. Non ero un rigorista e non avevo mai tirato un rigore prima ma dovevo farlo in una partita decisiva. Comunque segnai e dopo il gol mostrai la maglietta che avevo preparato. “Uno che spettacolo” davanti e dietro “era ora”. E Klas non sapeva nulla della maglietta, fu un gesto di cuore. 

Invece parlando delle tue ex squadre più importanti cosa ci dici?

Mi auguro che entrambe raggiungano i loro obiettivi anche se mi piacerebbe vederle presto di nuovo impegnate in A. Rivedere un Bari-Lecce al San Nicola sarebbe bellissimo, io sarei sicuramente presente.

Bari-Piacenza, 3-1. La partita del primo gol in A.
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